Categoria catastale F4 ed F3

La categoria catastale F4 racchiude tutti gli immobili in corso di definizione e, dal momento che non hanno una rendita catastale, non è previsto che il proprietario debba corrispondere nè IMU nè TARI. Del resto, questa categoria, esattamente come la F3, viene definita proprio classe fittizia in quanto qui rientrano tutti gli immobili che non possono essere ancora utilizzati a pieno titolo.

Proprio per questo, è opportuno sottolineare che un immobile si trova in questa categoria catastale solamente per un periodo di tempo e non in maniera permanente: infatti, una volta terminata la fase di costruzione e di definizione secondo quanto previsto dai termini di legge viene apportata una modifica al catasto inserendola nella nuova categoria. Si ricorda che l’immobile può rimanere in questa condizione solamente per un periodo che varia dai sei ai dodici mesi, secondo quanto previsto dalla circolare 4/T 2009 dell’Agenzia del Territorio.

È opportuno sottolineare che nella categoria catastale F4 rientrano tutte le unità immobiliari in corso di definizione e fanno riferimento a edifici preesistenti e non nuove costruzioni (come nel caso, invece, della categoria fittizia F3)

Inoltre, la categoria F4 non può essere assegnata ad una porzione stralciata da un’unità immobiliare iscritta in atti con propria rendita o a porzioni che, per le loro caratteristiche, potrebbero costituire unità immobiliare autonoma. Le eccezioni a tale divieto possono essere riassunte come segue:

  • porzioni immobiliari che sono state oggetto di ridefinizione complessiva e radicale;
  • fabbricati che siano stati inaccessibili in maniera permanente;
  • porzione di un bene comune non censibile, come atrio, scale o androne:
  • immobili di cui è ancora incerta la definizione strutturale o funzionale all’atto della dichiarazione in catasto di tutto il fabbricato.

In tutti i casi, sugli immobili in categoria catastale F4, l’IMU non è esigibile per tutto il tempo entro il quale le unità in questione rientrano in tale classe.

Sebbene la categoria catastale F4 e F3 siano facilmente confondibili è opportuno sottolinearne alcune affinità e differenze. Prima di tutto, entrambi i casi non prevedono il pagamento dell’IMU e sono categorie transitorie; per quanto concerne le differenze, la categoria F3 è propria degli immobili in via di costruzione nuovi mentre la F4 fa riferimento ad edifici già esistenti.

La categoria F4 può essere usata per gli immobili in fase di definizione su edifici già esistenti per un periodo assai limitato di massimo 1 anno in casi limite. Proprio per questo la categoria catastale F4 per l’Agenzia Entrate è transitoria in quanto l’immobile stesso deve rientrare, al termine dei lavori, nella categoria catastale definitiva.

Pertanto, fino a quando l’immobile è nella F4 non è necessario pagare l’IMU, mentre invece quando passa ad una nuova categoria catastale il versamento di tale imposta potrebbe essere richiesto.

Infine, bisogna tenere presente il caso particolare di un l’immobile in categoria catastale F4 in corso di ristrutturazione: in questa situazione è essenziale affidarsi ad un team di esperti che possano effettuare tutte le comunicazioni necessarie tanto al catasto quanto ad Agenzia Entrate affinché l’accatastamento dell’immobile corrisponda sempre alla condizione reale e che il proprietario non incorra in sanzioni. Questa condizione è infatti particolarmente delicata in quanto, generalmente, i temi di natura catastale si intrecciano con quelli che riguardano agevolazioni e bonus sulle ristrutturazioni.

Per queste categorie è anche più complesso ricevere finanziamenti da parte degli istituti bancari appunto perchè categorie immobiliari transitorie e non ancora definite, prima di acquistare tali immobile se si necessita di finanziamento è meglio fare le opportune verifiche con la propria banca.

Fonte idealista.it

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Cedolare secca, cosa cambia nel 2024

La cedolare secca è un particolare regime di tassazione facoltativo per le locazioni che consente di pagare un’imposta unica.

Dal 1°gennaio è entrata in vigore la nuova cedolare secca, con una serie di novità che riguardano soprattutto gli affitti brevi.

Nel 2024 il regime della cedolare secca cambia, nell’articolo 19 della Manovra 2024, si cita: “Modifiche alla disciplina fiscale sulle locazioni brevi e sulle plusvalenze in caso di cessione a titolo oneroso di beni immobili”.

Tutte le principali novità riguardano solo gli affitti brevi, ovvero quelli che durano meno di trenta giorni. Per questi ultimi l’aliquota passa dal 21 al 26 %, ma la nuova tassazione riguarda solo la seconda, terza e quarta casa locata. In caso di quinto immobile affittato è invece necessario aprire la P.Iva.

Nel caso in cui, invece, si affitti una sola casa l’aliquota applicata per la cedolare secca è quella del 21 %.

Questa agevolazione può essere applicata, nel caso delle locazioni fino a trenta giorni, solo in presenza di due forme di contratto:

contratti produttivi di redditi fondiari: il contribuente deve avere la possibilità di dare in affitto il bene a terzi;

contratti produttivi di redditi diversi: il locatore ha la facoltà di cedere a un terzo soggetto l’utilizzo dell’immobile sottoscrivendo un contratto di sublocazione breve.

In tutti questi casi la nuova legge di Bilancio prevede due aliquote:

aliquota al 21 %: nel caso di affitto breve di un solo immobile;

aliquota al 26 %: nel caso di affitto del secondo, terzo o quarto immobile.

Nel caso in cui un contribuente sia proprietario di due immobili, di cui uno dato in affitto e l’altro in comodato al figlio che lo sfrutti attraverso gli affitti brevi, entrambi i soggetti al momento possono usufruire dell’aliquota al 21 %.

Mentre per gli affitti di quattro anni più quattro o tre più due anni, la cedolare secca resta invariata.

I primi, inseriti nel mercato libero, continuano a pagare il 21%. I secondi, a canone concordato, pagano il 10%.

La legge di Bilancio non ha cambiato la cedolare secca per gli affitti lunghi e per gli affitti a canone concordato così come per gli immobili commerciali, al quale non può essere applicata la cedolare secca. La previsione di un’estensione della cedolare secca anche alla locazione di negozi e uffici è comunque prevista nell’ambito della legge delega di riforma fiscale.

Potrebbe, dunque, essere inserita in un secondo momento e prevedere quindi un’aliquota unica anche per questo tipo di locazioni.

 

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Contratto preliminare dal notaio per gli immobili in costruzione

Nuove regole per le compravendite di “immobili da costruire”, vale a dire i contratti aventi a oggetto il trasferimento di edifici (o loro porzioni) per la cui costruzione sia stato richiesto il permesso di costruire e che siano ancora da edificare oppure la cui costruzione «non risulti essere stata ultimata versando in stadio tale da non consentire ancora il rilascio del certificato di agibilità»

https://www.ilsole24ore.com/

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Prima casa

Per prima casa si intende un’unità immobiliare a uso abitativo avente caratteristiche non di lusso ubicata nel Comune in cui l’acquirente risiede. L’acquisto è agevolato fiscalmente. Per comprare la prima casa l’acquirente non deve possedere altre case nel medesimo comune e, se possiede in tutto il territorio nazionale altre case acquistate con la medesima agevolazione, dal 1° gennaio 2016 ha un anno di tempo per rivenderle (in precedenza avrebbe dovuto rivenderle prima del nuovo acquisto). La prima casa non può essere venduta prima di cinque anni dal suo acquisto a pena di decadenza dalle agevolazioni, a meno che entro un anno dalla vendita il contribuente compri una nuova prima casa.

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Agevolazioni prima casa 2019

Agevolazioni fiscali per l’acquisto e la vendita della prima casa.

Le agevolazioni per l’acquisto della ‘prima casa’ sono le seguenti:

  • applicazione dell’imposta di registro nella misura del 2%
  • applicazione delle imposte ipotecaria e catastale nella misura fissa di 50 euro ciascuna
  • se la vendita è soggetta ad Iva, sono dovute l’imposta di registro, quella ipotecaria e quella catastale nella misura fissa di 200 euro, oltre all’Iva ridotta al 4%

Tali agevolazioni spettano all’acquirente che alternativamente:

  • risieda nel Comune in cui è sito l’immobile
  • si impegni a trasferirvi la residenza entro i successivi 18 mesi dall’acquisto,
  • svolga la propria attività nel predetto comune.

Si ricorda che le agevolazioni “prima casa” non sono ammesse, per l’acquisto di immobili appartenenti alle categorie catastali A/1 (abitazioni di tipo signorile), A/8 (abitazioni in ville) e A/9 (castelli e palazzi di eminenti pregi artistici e storici).

Anche il contribuente che è già proprietario di un immobile acquistato con le agevolazioni prima casa può avvalersi del beneficio fiscale, a condizione però che la casa posseduta sia venduta entro un anno dal nuovo acquisto. Se questo non avviene, si perdono le agevolazioni usufruite per l’acquisto del nuovo immobile e, oltre alla maggiori imposte e ai relativi interessi, si dovrà pagare una sanzione del 30%.

Inoltre, chi vende l’abitazione acquistata con le agevolazioni ed entro un anno ne compra un’altra in presenza delle condizioni per usufruire dei benefici “prima casa”, ha diritto a un credito d’imposta pari all’imposta di registro o all’Iva pagata per il primo acquisto agevolato.

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Casa in affitto, le spese dell’inquilino e del proprietario

Il primo passo da fare è vedere quanto riportato nel contratto di locazione. Le due parti, infatti, possono aver raggiunto un particolare accordo e specificato il tutto all’interno del contratto di locazione al momento della stipula. Diversamente, di norma, viene inserito quanto previsto dalla legge. E in questo caso si fa riferimento agli articoli 1576 e 1609 del Codice Civile.

L’articolo 1576 del Codice Civile afferma, in modo generico, che spettano al conduttore le spese di piccola manutenzione, mentre competono al locatore le spese per le riparazioni necessarie, che permettono all’immobile di servire all’uso per cui è locato, generalmente quelle di straordinaria manutenzione.

Nel dettaglio, l’articolo 1576 del Codice Civile “Mantenimento della cosa in buono stato locativo” recita: “Il locatore deve eseguire, durante la locazione, tutte le riparazioni necessarie [1583], eccettuate quelle di piccola manutenzione che sono a carico del conduttore [1609, 1621, 2153, 2764]. Se si tratta di cose mobili, le spese di conservazione e di ordinaria manutenzione sono, salvo patto contrario, a carico del conduttore [1609, 1621, 2153, 2764]”.

L’articolo 1609 del Codice Civile fa specifica menzione degli interventi di piccola manutenzione a carico dell’inquilino. Sono a carico dell’inquilino le riparazioni che sono conseguenza dell’uso, ma non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito, non avendovi dato causa col fatto proprio o con quello dei suoi dipendenti. Tali riparazioni faranno carico al locatore salvo patto contrario e salvo l’esistenza di un uso locale che le ponga invece a carico dell’inquilino.

Nel dettaglio, l’articolo 1609 del Codice Civile “Piccole riparazioni a carico dell’inquilino” recita: “Le riparazioni di piccola manutenzione, che a norma dell’articolo 1576 devono essere eseguite dall’inquilino a sue spese, sono quelle dipendenti da deterioramenti prodotti dall’uso, e non quelle dipendenti da vetustà o da caso fortuito [1590, 1807]. Le suddette riparazioni, in mancanza di patto, sono determinate dagli usi locali”.

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Spese condominiali inquilino e proprietario, come devono essere suddivise

La suddivisione delle spese condominiali tra inquilino e proprietario è argomento di grande interesse. Spesso non è chiaro chi debba pagare cosa.

“Sono sul punto di procedere alla stipula di un contratto relativo ad un’unità immobiliare ad uso abitazione. Il mio quesito è questo: la quota di spese condominiali che vengono addebitate mensilmente è a carico al 100% del conduttore o in parte deve essere divisa con i proprietari?”.

Ecco la risposta: “In linea di principio le spese per gli oneri di conduzione del condominio, definibili come di natura ordinaria, in sostanza le spese che l’amministratore addebita ai condomini periodicamente (di solito su base mensile) correlate all’acquisto di servizi – quali fornitura energia elettrica per illuminazione parti comuni, pulizia scale, eventuale manutenzione aree verdi – e di beni, quali combustibile per il riscaldamento, sono poste ad esclusivo carico del conduttore, mentre quelle a carattere straordinario sono a carico del proprietario, salvo diversa pattuizione contrattuale. Al fine di definire quelle che, appunto, sono mere pattuizioni contrattuali tra proprietario dell’immobile e conduttore, esistono varie tabelle utilizzabili per la ripartizione delle spese condominiali. Tali tabelle sono approvate dalle rispettive organizzazioni sindacali di categoria (proprietari e inquilini) e tutte forniscono indicazioni basate in accordo con la normativa (di derivazione soprattutto codicistica) vigente. Deve, tuttavia, essere sottolineato il fatto che, trattandosi di documenti di prassi che, nonostante siano state concordate tra parti rappresentative di interessi diffusi, tuttavia non rappresentano, né potrebbero rappresentare, atti vincolanti tra le parti contrattuali, a meno che non siano state recepite dai regolamenti condominiali ed esplicitamente richiamate nei singoli contratti di locazione”.

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Ritardo nel pagamento del canone di locazione di una casa, cosa succede?

Il ritardo nel pagamento del canone di locazione è un fatto molto temuto dal proprietario della casa data in affitto.

Nel caso in cui si realizzi tale ipotesi, quali sono le possibili conseguenze?

Se il conduttore fosse in ritardo nel pagamento del canone di locazione, il locatore può procedere con lo sfratto. In particolare, quando si parla di ritardo nel pagamento del canone di locazione per un immobile ad uso abitativo, in base all’articolo 5 della legge n. 392/1978 il conduttore ha tempo fino a venti giorni per poter adempiere al proprio obbligo, decorsi i quali il locatore può adire il tribunale per ottenere lo sfratto.

La legge però consente all’inquilino moroso di adempiere anche successivamente ai venti giorni previsti nonostante il proprietario gli abbia notificato l’intimazione di sfratto.

Se il conduttore paga al proprietario i canoni arretrati, oltre agli interessi e a tutte le spese legali sostenute, ha diritto di rimanere in casa e di paralizzare lo sfratto. Si tratta di una possibilità che può essere messa in campo al massimo entro la prima udienza, ove al conduttore, su richiesta, è addirittura concedibile un ulteriore termine di novanta giorni.

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